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Emozioni e cibo

Il nostro rapporto con il cibo non riguarda esclusivamente mere necessità fisiologiche, ma coinvolge un ampio spettro di fattori psicologici e socio-culturali, come le emozioni sia positive che negative che proviamo e le relazioni con gli altri. Esiste quindi un legame molto stretto tra il cibo con cui ci nutriamo e le nostre emozioni.
Questo legame è visibile già a livello anatomico dove il sistema limbico, e in particolare l’amigdala, è implicato insieme all’ipotalamo nella regolazione del comportamento alimentare, nel comportamento sessuale, nell’espressione delle emozioni e nel controllo della motivazione.

Capita spesso di festeggiare un momento di gioia mangiando in eccesso, o digiunare per via dello stress: questi comportamenti, inizialmente sporadici, possono rapidamente trasformarsi in abitudini che prendono il sopravvento sui veri bisogni del nostro corpo, riuscendo a condizionare le comunicazioni riguardanti fame e sazietà tra l’apparato digerente e il cervello, nello specifico attraverso il rilascio di serotonina.
L’esempio più classico di alimentazione emozionale sono gli episodi di abbuffate notturne, dettate dalla noia o dalla tristezza, che possono portare ad un apporto calorico eccessivo in grado di spianare la strada all’insorgenza del sovrappeso, a disturbi del sonno e patologie di stomaco e intestino, a causa del sovraccarico sia nutritivo che emozionale a cui li si sottopone.

Pensare al cibo solo come una sostanza chimica è il più grande errore che una persona possa fare quando inizia una dieta. Il cibo da subito ha una forte componente emotiva. Quando mangiamo non stiamo facendo un semplice esercizio d’assimilazione di calorie. Nel cibo investiamo emozioni, speranze e desideri inconsci, i quali hanno spesso un significato inconfessabile alla mente razionale.
E’ difficile trovare una persona obesa che non nasconda un disagio psicologico, personale o relazionale, dietro al suo aspetto fisico. Spesso dietro una storia di cattivo rapporto col cibo si nasconde un problema di accettazione di sé, la necessità di soffocare il vuoto emotivo, il bisogno di nascondere un segreto che pesa come un macigno. L’assunzione di cibo va ad influire sui processi biochimici cerebrali, modulando il livello di neurotrasmettitori, agendo sul livello di serotonina ed endorfine. Cosa fare? Se vogliamo che una dieta funzioni bisogna mettersi in stretta relazione con le nostre emozioni, con il nostro mondo interiore essere, quindi, predisporsi psicologicamente.

In studio una delle domande che pongo alla prima visita è: “Ti capita mai di mangiare per emozione?” e tantissime volte la risposta è sì, poi chiedo quale emozione e spesso la persona davanti a me mi guarda stupita “non ho mai fatto caso a quale emozione nel particolare”. Allora do una mano io con qualche esempio: tristezza-rabbia-malinconia-delusione-solitudine-paura? E per me è sempre affascinante l’espressione delle persone durante la scoperta di se stesse.

Perché tutto ciò? Sei una nutrizionista! Esatto e questo fa parte del lavoro del nutrizionista se voglio aiutare davvero nel processo di cambiamento e di educazione alimentare. 

 

Qual è il rapporto fra emozioni e cibo?

Il rapporto tra emozioni e cibo può funzionare anche in senso inverso: uno stato ansioso o depressivo può essere pesantemente influenzato da carenze nutritive, ad esempio la mancanza nella propria dieta di minerali e vitamine (B, D, magnesio, selenio, ferro, acidi Omega-3 eccetera). Alcuni cibi, in condizioni di sovrappeso già presente, possono arrivare a innescare una vera e propria dipendenza simile a quella data da alcune droghe, giocando sull’attivazione dei circuiti neurologici della gratificazione che portano a provare piacere anche solo al pensiero del loro consumo.
Sovrappeso e obesità sono esse stesse condizioni strettamente legate allo sviluppo di un ampio spettro di emozioni negative, dovute a diversi fattori, dall’eventuale insorgenza di patologie correlate, al disagio nello svolgimento di semplici attività quotidiane a causa del peso in eccesso, al senso di impotenza e frustrazione di fronte al fallimento dei tentativi di dimagrire affrontando le ristrettezze di una dieta, ansia e depressione accentuate ulteriormente dallo stile di vita sedentario che caratterizza il paziente obeso nella maggior parte dei casi.
Il rapporto con la società non aiuta, anzi tende a peggiorare le cose: la stigmatizzazione dell’obesità è un atteggiamento presente ormai anche tra i bambini, impedendo un sereno sviluppo del soggetto, ed è alimentato dall’idea che l’eccesso di peso sia una “colpa” data dalla pigrizia e dall’immagine proposta dai media della magrezza come unica forma fisica desiderabile.
La mancanza di supporto anche da parte delle persone più vicine può portare il soggetto a sviluppare un’immagine di sé completamente erronea, esagerata e sfalsata, per cui vede la propria forma fisica come peggiore di quella che in realtà è, può sentirsi spinto a non esporre il proprio corpo e diventa un facile candidato per forme più gravi di disturbi dell’alimentazione, nello specifico anoressia nervosa e bulimia. Entrambi questi disturbi, per quanto con manifestazioni opposte, si basano su meccanismi psicologici portati all’estremo: nel caso dell’anoressia è un eccesso di controllo, che porta a calcolare ogni singola caloria ingerita, a digiuni malsani e pratica sportiva esagerata, mentre nel caso della bulimia è perdita di consapevolezza delle proprie azioni che porta a episodi sempre più frequenti di abbuffate.

Come riacquisire il controllo delle proprie emozioni?

Riacquisire il controllo delle proprie emozioni, e conseguentemente del proprio rapporto con il cibo, è possibile. Bisogna tener conto che per “controllo” non si intende uno stato di vigilanza continua riguardo alla propria alimentazione o le restrizioni di una dieta estrema, in quanto questo ricadrebbe nei sintomi dell’anoressia nervosa.
Si parla piuttosto di un’elaborazione consapevole e quanto più possibile oggettiva degli stati emotivi e degli avvenimenti che possono aver condotto a determinate reazioni inconsce, secondo i principi del modello psicologico cognitivo che da qualche decennio a questa parte viene utilizzato con successo nel trattamento dei disturbi alimentari.
Questo controllo si può esercitare, oltre che grazie ad un supporto psicologico specializzato, attraverso semplici tecniche di auto-monitoraggio e auto-analisi, ad esempio tenere un diario alimentare considerando anche gli avvenimenti della giornata e il proprio umore e applicare strategie di problem solving, in modo da imparare a combattere la causa scatenante dell’emozione negativa alla radice, senza permetterle di degenerare in comportamenti dannosi.
Cercare l’appoggio di un familiare o di un amico in questo percorso può avere un’importanza vitale: sentirsi amati e apprezzati aiuta a combattere i sentimenti negativi meglio di qualunque antidepressivo.
Importantissimo è anche il ruolo dello sport, soprattutto se svolto all’aria aperta: l’attività fisica rilascia endorfine e serotonina, i cosiddetti “ormoni del buonumore”, in grado di annullare ansia e depressione; può dare inoltre un forte senso di pienezza con cui combattere la noia, soddisfazione e realizzazione nel conseguimento di obiettivi e progressi, oltre che fornire un contributo essenziale nella perdita di peso vera e propria.

È possibile un’alimentazione equilibrata e gustosa senza cadere nella monotonia e senza stravolgere le proprie abitudini?
Sì basta variare ed essere consapevoli di ciò che si mangia.
Per questo ho scritto il mio libro,”Ricettario Sportivo”.
Troverai sicuramente le alternative più adatte al tuo stile di vita: ho cercato di accontentare le esigenze degli sportivi, ma non solo.. è adatto per tutti quelli che in cucina come me vogliono sperimentare.
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